La sessualità nel Simposio di Platone

Mario Mengheri - Psicologo Psicoterapeuta Psicoanalista Livorno - Metà della Mela

Il Simposio è una dei dialoghi più noti fra quelli scritti da Platone (428 – 347 a.C.). Il filosofo greco in questa opera, che si configura come un vero agone oratorio, espone le sue tesi sulla sessualità e sull’amore.
La cornice in cui si inseriscono i vari dialoghi è rappresentata da un banchetto per celebrare una vittoria, a cui partecipano i maggiori esponenti della cultura intellettuale ateniese. Ciascuno di loro a turno tiene un discorso elogiativo di Eros, nel quale espone le proprie personali teorie a proposito dell’amore.

Grecia e sessualità

Ora è necessaria una piccola premessa: “sessualità” è una parola recente. Un greco non la contemplava nella sua lingua.
Anche l’amore non era interpretato come un sentimento bensì era Eros, ovvero un dio, una forza in grado di impadronirsi di anime e corpi e di spingere all’unione delle differenze o addirittura alla composizione dei contrari.
Solo in misura molto embrionale c’erano dei “soggetti”, nel nostro senso moderno, che per un verso si lasciavano prendere da questa forza, per altro verso si interrogavano intorno ad essa, ne vivevano le ambivalenze, ne soffrivano le lacerazioni, ne misuravano le tensioni.

I greci erano un popolo tragico, un popolo romantico. Erano antichi, non moderni. Il che non è né un’ovvietà (loro sono venuti prima, noi dopo), né un giudizio di valore (loro valevano di più e noi di meno, o viceversa). Eros era un dio potente e terribile. Gli uomini e le donne ne erano i sudditi, ora felici ora infelici. Ma gli uomini e le donne non erano mai “ammalati” di eros, il sesso non era mai territorio di indagine medica, di introspezione morale, di intervento psicologico, di orientamento pedagogico.

Non un c’era territorio come quello della nostra “sessualità”, intorno a cui potessero proliferare discorsi, riflessioni, domande, incertezze, insoddisfazioni.
Tutto questo è venuto dopo, molto dopo. Ed è venuto in base a trasformazioni profondissime, che hanno portato con sè la nascita di quel modo di essere al mondo, di vivere i rapporti con gli altri, di usare le cose che ci circondano, che è il nostro, che è quello della nostra modernità.

Il simposio di Platone e la sessualità

Possiamo ritrovare in questo racconto una visione del sesso come divisione iniziale per conquistare e ricongiungersi all’altro da noi, col fine di completare il nostro desiderio di amore in quanto desiderio infinito dell’altro da noi.
La parte di scritto che riporto è quello che Platone attribuisce al commediografo Aristofane, il famoso mito degli androgini, conosciuto anche come il mito della mela (le due metà, appunto, della mela).

Qui si narra come l’uomo, una volta essere unico, sferico, composto da due facce orientate in direzione opposta su un’unica testa, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali, venne scisso in due parti e condannato a ricercare la propria metà per raggiungere la completezza e l’appagamento.

Aristofane apre il suo discorso parlando della potenza del dio amore Eros:

Il più amico degli uomini, in quanto è loro soccorritore, e medico di quei mali curati i quali ne conseguirebbe la più alta felicità per il genere umano

(Platone, Simposio, Milano 1986, p. 139).

Poi prosegue descrivendo l’antica figura dell’essere umano che era di forma sferica, come scritto sopra.

Questi primitivi esseri erano di tre differenti sessi: i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina della terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra.

(ibidem, p. 141).

Queste creature erano esseri perfetti, autosufficienti e autosoddisfacenti (per questo anche invidiati dagli dei) e senza bisogni, caratteristiche che li dotavano di una considerevole potenza (anche distruttiva) e di superbia:

Essi erano tondi, e tondo il loro modo di procedere, per somiglianza coi loro progenitori. Così erano terribili per forza e per vigore, e avevano ambizioni superbe [..] si tramanda che tentarono di scalare il cielo, per assalire gli dei.

(ibdm p. 141)

La loro immodestia li fece tentare l’ascesa all’Olimpo. La cosa non fu gradita agli dei che si trovarono a dover trovare una soluzione al loro libero scorrazzare. Fu Zeus a trovare soluzione sia alle paure degli dei che all’oltraggio subito:

Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze.
Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi; e cammineranno eretti su due gambe.
Se vedrò che continuano a imperversare e non intendono stare tranquilli, allora li taglierò nuovamente in due, di modo che debbano muoversi saltellando su una gamba sola.

(ibidem, p. 143)

Detto ciò divise, a colpi di saetta, gli aggressori e dette ordine ad Apollo di girare la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio, di modo che ogni uomo, vedendo il taglio subito, ricordasse l’evento e diventasse più tranquillo.
Le sfere vennero tagliate in due ma Zeus non aveva pensato alle conseguenze:

Allorché la forma originaria fu tagliata in due, ciascuna metà aveva nostalgia dell’altra e la cercava; e così gettandosi le braccia intorno e annodandosi l’una con l’altra per il desiderio di ricongiungersi nella stessa forma, morivano di fame ed anche di inattività, poiché l’una non intendeva far nulla separata dall’altra.

(ibidem p. 144)

Queste parti avevano gli organi genitali posti sulla parte esterna e ciò rendeva il ricongiungimento difficile, arduo e comunque arido e sterile. Le singole parti ritrovandosi non potevano che stringersi l’una con l’altra per poi morire di fame e di torpore non volendosi più separare.

A questo punto Zeus si impietosì ed escogitò un nuovo stratagemma: trasferì sul davanti le parti genitali [..] e fece sì che grazie ad esse generassero gli uni negli altri, mediante il sesso maschile dentro quello femminile.

(ibidem p. 145)

Da qui si evince l’importanza che Aristofane dava ad Amore:

E dunque da tempo così remoto è innato negli esseri umani l’amore degli uni per gli altri, anzi esso è restauratore dell’antica natura in quanto cerca di curare e restituire all’unità, di doppia che è divenuta, l’umana natura.

(ibidem)

Possiamo ritrovare in questo racconto una visione del sesso come divisione iniziale e ricongiunzione all’altro da noi che possa completare il nostro desiderio di amore; e allo stesso tempo come desiderio infinito dell’altro da noi. La parola “sesso” viene dal latino secare (tagliare) e rinvia letteralmente a questi esseri divisi, sezionati, segmentati. Sesso come appagamento, come méta e fine al raggiungimento dell’altro ma anche come continua frustrazione nel trovare la metà “sbagliata”:

Pertanto ciascuno di noi, in quanto è stato tagliato come si fa con le sogliole, è la metà, il contrassegno, di un singolo essere; e naturalmente ciascuno cerca il contrassegno di se stesso.

(ibidem)

Infine offre un interessante punto di vista sulla nascita dell’amore omosessuale. Nella nostra ricerca della metà “autentica” si dispiegano le due tipologie d’amore: il rapporto omosessuale (se i due partner facevano parte in principio di un essere umano completamente maschile o completamente femminile) e il rapporto eterosessuale (se i due facevano parte dell’essere androgino).

Pubblicato in data: | Categoria Sessuologia.

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